Ai piedi del Maestro – Introduzione e parte del Primo capitolo

 

Introduzione

  

Pregare è un mistero nel Mistero. È lasciarsi cogliere dall’incommensurabile sorpresa che Dio in Gesù affida a noi, noi umili, noi piccoli, noi inetti, noi disubbidienti, noi pigri, noi mediocri agli inclementi occhi del mondo e di noi stessi, il dono di intuire e assaporare il mistero di Dio.
Pregare significa ascoltare, osservare con l’immaginazione e con il cuore ‒ per dono dello Spirito Santo ‒ Gesù che annuncia, con i suoi gesti, le sue parole, i suoi sentimenti, la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione che il regno di Dio, il regno dei cieli è vicino.
Pregare è il desiderio di poter scorgere in Gesù il segno vivente e la presenza di colui che Gesù chiama Padre.
Pregare è attesa paziente che questo accada. È la sorpresa di scoprire che ciò accade sempre e che per accadere non ha bisogno di nient’altro che di un testo, le Sacre Scritture, e del mio tempo.
Pregare è immergersi nella vita di Gesù per cogliere il frammento di verità, di vita, di luce che la nostra immaginazione e il nostro cuore saranno in grado di cogliere.
Pregare è sentire una gratitudine che tocca il cielo e brucia qualsiasi paura, qualsiasi senso di inadeguatezza, di vergogna o di indegnità. È lo slancio con cui si spera vi sia qualcuno che come noi vorrà lasciarsi trascinare e travolgere dall’amore di Dio.
Pregare è il libro sacro appoggiato sulle ginocchia. È gli occhi che si fanno ascolto. È il corpo che si apre e vibra di luce. C’era anche prima quella luce? Ci sarà anche dopo?
Pregare è riconoscere che non dipende da me. È riconoscere che non può non essere che così. Questo corpo che pesa anche quando è leggero, questo corpo che lungo le vie del mondo attraversa banchi di sofferenza densi come la pece e non ha altro da offrire che qualche timido sorriso, questo corpo che io sono e non sono, che ricevo in dono, offro in dono e spesso ‒ troppo spesso ‒  io stessa maltratto, questo corpo, in preghiera, è canto di lode che raggiunge la più lontana delle stelle e il più piccolo essere animato, il più piccolo granello di sabbia nel profondo degli abissi marini.

Mio Signore, mio Maestro e mio Dio, questo corpo e questa mente troveranno le parole per dirlo? Troveranno altri corpi e altre menti, altre anime disposte ad ascoltare e poi ad accogliere il dono che non io ma tu stesso offri loro? Riuscirò a essere un tramite e un’interprete umilmente convincente e convincentemente degna? Riuscirà questo libro a porgere ad altri l’invito che continuamente mi rivolgi? Consentirà a chi legge e a me che scrivo di condividere con gioia sempre più libera i frutti della preghiera e il dono di noi stessi che dalla preghiera nasce?

 

Un metodo per pregare

È un paradosso. Lo strumento più efficace per procedere sicuri sul cammino della vita, per crescere, essere generosi e creativi, per non avere paura o quantomeno tenere a bada le paure, lo strumento che ci permette di sostenere l’insostenibile peso dell’impossibilità di trovare soluzioni ai problemi di un mondo sempre più complesso, minaccioso e frammentato e scorgere al di là dei frammenti e delle minacce la bellezza, la vita e un futuro per noi e per tutti, è immateriale e fragilissimo: la preghiera.
Coloro che hanno la fortuna di essere nati e cresciuti in una famiglia in cui la fede cristiana è sincera sanno che Dio è amore. Sanno rivolgersi a Dio, lodare Dio, chiedere a Dio protezione. Hanno imparato a pregare nella culla e sapranno come pregare quando esaleranno l’ultimo respiro. Oggi questa condizione è rara e spesso rimane segreta. La fede è diventata una questione del tutto privata. Non si professa pubblicamente. Capita di lavorare per anni fianco a fianco con qualcuno senza che si tocchi mai l’argomento. Tu credi? In chi credi? Qual è il tuo Dio? La società contemporanea e il mondo occidentale sono molto discreti in questo senso. Si esibiscono altre preferenze. Ci si riconosce a vicenda e ci si dà reciprocamente valore attraverso altri segnali.
Questo libro non si rivolge a chi già sa chi pregare, perché pregare e come pregare, ma a chi è alla ricerca di un modo per entrare in relazione con Dio che permetta di rispondere ai moltissimi interrogativi ai quali fino a questo momento non ha potuto dare una risposta. Gli interrogativi che riguardano il mistero che la tradizione giudeo-cristiana chiama Dio e perché convenga affidarsi al Dio di Gesù di Nazaret, al Dio dei nostri antenati e dei nostri nonni piuttosto che ad altri dei e ad altre tradizioni spirituali. Si rivolge a chi guarda con un misto di curiosità e sgomento le centinaia di titoli che occhieggiano dagli scaffali del reparto religioni delle librerie e spesso portano la firma di autori dal nome esotico. Non era così fino a qualche decennio fa. Molti di quei titoli promettono di rispondere a ciò che cerchiamo. Tra tante proposte di guarigione e autoguarigione, di trasformazione personale e collettiva, di verità, di illuminazione, come orientarsi? Che cosa mi fa scegliere un maestro piuttosto che un altro, una tecnica e un insegnamento piuttosto che un altro? E soprattutto, all’interno di questa grande offerta, che cosa risponde a quello di cui ho davvero bisogno, alla persona che sono, che desidero essere e che posso diventare?
Da adolescenti ci si lascia guidare dall’attrazione per un amico o un’amica o dal desiderio di appartenere a un gruppo. Si sperimenta. Si ha la certezza di non commettere errori e si ha il tempo per commetterli. Da giovani, in realtà, il tempo non esiste. Da meno giovani la questione si fa più complessa. Crescendo, alcuni sospendono deliberatamente la ricerca. Si dedicano ad altro. Si definiscono atei o agnostici. Altri invece, spesso loro malgrado, non possono abbandonarla. Fare scelte ragionevoli e di cui poter dare ragione, adottare comportamenti responsabili verso se stessi e verso il prossimo è importante per loro tanto quanto lo è per chiunque sia governato da solidi principi etici. Ma non basta. Continuano a sentirsi interpellati, persino inseguiti dalla “questione” di Dio. La Verità esiste? La Giustizia esiste? La Fedeltà esiste? L’Amore esiste? Dio esiste? Se Dio esiste, perché tanto dolore?
Questo libro si rivolge a questo tipo di persone. Non offre soluzioni, conclusioni né sintesi dottrinali. Non entra nel merito del perché il Dio cristiano, la Trinità, Gesù Cristo e la persona che Gesù chiama Padre sono la via, la verità e la vita. Non anticipa né suggerisce alcuna risposta. Si propone semplicemente di illustrare un metodo di porre le domande ‒ con intelligenza, con integrità, di giorno in giorno, istante dopo istante ‒ e di disporsi a ricevere le risposte. È il metodo che si è dimostrato più utile alla mia ricerca. Se Dio c’è, se il Dio che ci ha creati e che continua a sostenere la vita di ognuno di noi esiste davvero, se Dio è “persona” e non una forza tanto meravigliosamente onnicomprensiva quanto ontologicamente e relazionalmente indifferente, sarà Dio stesso a risponderci.
In questo senso, tutti siamo mistici. Perché a tutti, in quanto creature di Dio, è data la possibilità di ascoltare le risposte che Dio dà a ciascuno. Tutti abbiamo la capacità di riconoscere le risposte che provengono da Dio e dai mediatori o le circostanze di cui Dio si serve per raggiungerci dalle risposte che provengono da una fonte diversa, non affidabile. È la promessa, è la premessa stessa del regno dei cieli.
Sant’Ignazio, gli Esercizi Spirituali e la contemplazione immaginativa che ne è il cuore ci offrono sia un modo per pregare, cioè porre le nostre domande a Dio, sia un modo per riconoscere e ascoltare le risposte di Dio alle nostre domande.
Quando grazie alle istruzioni di sant’Ignazio ci saremo avvicinati alla Sorgente, non sarà più necessario seguire alla lettera tutti i passaggi del metodo: avremo trovato il nostro modo di pregare. All’inizio, tuttavia, è importante seguirli con attenzione e costanza, perché ci vuole tempo per decifrare l’alfabeto, la grammatica e la sintassi della lingua assolutamente personale con cui Dio parla a ciascuno di noi. Dobbiamo affidarci al dono del tempo, prima di essere in grado di ascoltare il canto di Dio e poter rispondere a Dio con il nostro canto.

 

I

 Il metodo della contemplazione immaginativa di sant’Ignazio di Loyola

 

 Un esercizio di disciplina

 In un passaggio del vangelo di Matteo, Gesù rivolge al Padre una delle poche preghiere che i vangeli riportano direttamente:

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,25-30)

Le virgolette che aprono e chiudono le parole di Gesù indicano che il collegamento tra la preghiera al Padre e l’invito ai discepoli che lo stanno ascoltando è molto stretto. Sono loro i “piccoli” per i quali Gesù ringrazia il Padre.
Se ancora non osiamo pensare di essere discepoli, certamente non ci è invece difficile riconoscere di essere “piccoli”. E certamente ci è anche capitato molto spesso di porgere a Dio in preghiera la nostra stanchezza, le nostre difficoltà. Se è così, spingiamoci a immaginare che Gesù si rivolga al Padre riferendosi a noi e interpretiamo le sue parole come una risposta al nostro desiderio di imparare a pregare utilizzando il metodo ignaziano sotto la sua guida. Il Maestro sembrerebbe rispondere che, sì, all’inizio l’esercizio di disciplina richiesto per apprendere questo metodo può essere paragonato a un giogo. Ma, se sapremo portare quel giogo con una mitezza e un’umiltà di cuore simile alla sua, presto ci apparirà leggero e dolce e ci darà un ristoro che né il tanto studio né i successi che premiano le dimostrazioni di grande intelligenza e cultura potranno mai darci. Quel giogo, la contemplazione immaginativa, ci assicura Gesù, ci porterà a conoscerlo sempre meglio e, attraverso di lui, a conoscere il Padre.[1]
Ci è dunque richiesto, prima di tutto, un esercizio di disciplina. Di mantenerci fedeli all’impegno preso. Ne saremo capaci? Evitiamo di attribuirci una responsabilità eccessiva se fino a oggi non siamo riusciti a dedicare alla preghiera il tempo che avremmo voluto. Forse non è dipeso interamente da noi. In realtà, ne siamo responsabili solo in parte, perché è davvero difficile rubare un po’ di tempo ai ritmi di lavoro imposti dal mondo in cui ci troviamo a vivere. La nostra società dà valore soltanto all’azione e, molto spesso, solo ad azioni destinate a produrre un profitto materiale, tangibile. Azioni a raffica, che non concedono un attimo di respiro, finalizzate al mantenimento del livello di vita che abbiamo raggiunto o all’evasione da un lavoro che ci vuole alienati.
Il cammino personale e il cammino collettivo, la storia che l’umanità di cui facciamo parte sta costruendo, si incrociano raramente. Ciascuno vive per sé, spesso intrappolato in una rete di doveri e routine tra le cui maglie vi è pochissimo spazio per la ricerca di significato, per la crescita spirituale, per la comprensione del proprio posto nel mondo. “Meditazione” e “contemplazione”, attività a cui un tempo venivano attribuite caratteristiche diverse e la cui natura specifica fu oggetto in passato di migliaia di pagine e di grandi dibattiti tra i vari ordini religiosi, in un contesto come quello attuale sono diventate quasi sinonimi. Comunque sia, chi oggi si dedica alla ricerca del senso della propria vita e della vita altrui le riconosce quali strumenti insostituibili sia per la crescita personale sia per trasformare il desiderio di giustizia sociale in una pratica efficace.
A differenza di tradizioni dell’estremo oriente come il buddhismo, per esempio, le religioni monoteiste ‒ giudaismo, islam e cristianesimo ‒ affermano l’esistenza di Dio quale Altro assoluto, che si è rivelato nella storia e continua a rivelarsi, che ci ha creati, ci sostiene e ci guida verso l’espressione più alta delle nostre potenzialità, ci innalza a sé.  Se sappiamo avvalerci dell’esperienza tramandataci da coloro che ci hanno preceduti sul cammino, la meditazione e la contemplazione ci permetteranno di individuare il linguaggio più adatto a sviluppare una relazione personale con Dio e a ricevere direttamente da Dio le istruzioni su come tramandare gli insegnamenti dei Padri e delle Madri del passato alle generazioni future alla luce della nostra esperienza. Si può dare solo quello che si ha. Ma si arriva a riconoscere con certezza quello che si ha solo quando coloro che ci precedono sul cammino confermano che abbiamo raggiunto il livello al quale loro stessi sono arrivati e ci autorizzano ‒ implicitamente o esplicitamente ‒ a passare il testimone a chi viene dopo di noi. L’esperienza della comunità, della Chiesa, è un tesoro irrinunciabile e indispensabile per poter procedere con passo sicuro.
Riscoprire “la dimensione contemplativa della vita[2] con la speranza di diventare un giorno “contemplativi in azione” come i primi compagni di sant’Ignazio richiede una grande dedizione, ma richiede, prima ancora, un grande rispetto di noi stessi, e un tipo di umiltà che osi pensare come rivolte a sé anche le parole del profeta Isaia oltre che quelle del ringraziamento di Gesù al Padre per “i piccoli”: «Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4). Certi che questo giogo sarà leggero, entriamo con fiducia nel merito del metodo della contemplazione immaginativa.

 

La contemplazione immaginativa e gi Esercizi Spirituali di sant’Ignazio

La sequenza di passaggi che compongono la contemplazione immaginativa è descritta minuziosamente nel libretto degli Esercizi Spiritual[3] e ne è il filo conduttore. Il libretto, scritto da sant’Ignazio stesso, è una sorta di manuale riservato ai direttori di ritiro gesuiti per accogliere e formare i novizi e far crescere nella fede ogni tipo di persone, e costituisce il fondamento della spiritualità ignaziana e dell’apostolato della Compagnia. Sebbene oggi sia di dominio pubblico, in realtà è impossibile comprendere e mettere in pratica le istruzioni date nel libretto al di fuori dell’esperienza di ritiro o senza l’aiuto di una guida. [4] Alcune sue parti, tuttavia, possono essere adattate a contesti diversi. La contemplazione immaginativa è una di queste. Se è sicuramente molto utile conoscerla prima di partecipare a un ritiro o intraprendere un cammino ignaziano, può essere praticata con grandi frutti anche indipendentemente.
Un cenno al modo in cui gli Esercizi Spirituali si sono formati e sono stati informati dalla vita di sant’Ignazio ci aiuterà a comprenderne meglio la dinamica interna di questo metodo di preghiera. I capitoli che seguono esamineranno in dettaglio a una a una i diversi passaggi che lo compongono.
Tutti gli studiosi che dal XVI secolo a oggi si sono dedicati all’approfondimento delle origini degli Esercizi Spirituali concordano sul fatto che siano nati dall’osservazione da parte di Ignazio della sua conversione, dalla sua esperienza diretta nel dare gli Esercizi, dalla supervisione dei compagni che ha riconosciuto più adatti al neonato “ministero degli Esercizi” e, infine, dalla lotta per far sì che gli Esercizi fossero riconosciuti come ortodossi. [5] Il grado di dipendenza del libretto degli  Esercizi Spirituali dall’esperienza personale di Ignazio si deduce innanzitutto dalla Autobiografia, [6] che Ignazio dettò a Luis Gonçalves da Câmara nel 1553-1555 e che copre il periodo dalla conversione al voto di obbedienza al Papa, nel 1537. In una lettera scritta da Venezia il 16 novembre 1536, invitando l’interlocutore a intraprendere il cammino degli Esercizi, Ignazio scrive: «Sono tutto il meglio che io in questa vita possa pensare, sentire e comprendere, sia per il progresso personale di un uomo sia per il frutto, l’aiuto e il progresso rispetto a molti altri»[7]

I primi capitoli dell’Autobiografia, in particolare, meritano la nostra attenzione. Il libro inizia con il racconto della convalescenza del giovane Iñigo/Ignazio. Ferito a una gamba da una palla di cannone durante l’assedio dei francesi contro Pamplona, il ventisettenne Iñigo torna nel castello di famiglia, a Loyola.  Fino a quel momento era stato «un uomo dedito alle vanità mondane», un cavaliere dedito agli ideali del servizio di corte che sognava di compiere gesta eroiche in onore della sua misteriosa Signora. Costretto a una lunga convalescenza, chiese che gli fossero portati libri di cavalleria, i suoi prediletti, ma non se ne trovò nessuno. Gli fu invece consegnata l’unica letteratura presente nel castello: la Leggenda aurea di Jacopo da Varagine, sulla vita dei santi, e La vita di Cristo di Ludolfo di Sassonia, entrambi tradotti in castigliano. Mentre leggeva e rileggeva quelle pagine e si appassionava di ciò che vi si narrava, Ignazio prendeva nota dei diversi pensieri che lo abitavano. A volte, notava, si trovava a sognare a occhi aperti anche per molte ore intorno «ai mezzi di cui servirsi per raggiungere la città dove  risiedeva [la sua Signora] … le frasi cortesi, le parole che le avrebbe rivolto … i fatti d’arme che avrebbe compiuto a suo servizio». Altre volte pensava alle «imprese difficili e grandi» con le quali, imitando i santi, avrebbe offerto il suo servizio a Dio. Alternandosi, le due sequenze di pensieri producevano effetti diversi nella sua mente. Quando pensava di compiere azioni mondane si sentiva in un primo tempo pieno di entusiasmo ma, poco dopo, vuoto e deluso.

Al contrario, il pensiero di raggiungere a piedi nudi Gerusalemme, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi, faceva sorgere in lui una gioia duratura. […] Dall’esperienza dedusse che alcuni pensieri lo lasciavano triste, altri allegro; e a poco a poco imparò a conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui: uno del demonio, l’altro di Dio. Questa fu la prima riflessione che egli fece sulle cose di Dio.  In seguito, quando si applicò agli Esercizi, proprio di qui cominciò a prendere luce sull’argomento della diversità degli spiriti. [8]

     Queste riflessioni sull’alternanza dei moti d’animo e sulla natura di consolazione e desolazione sono all’origine delle Regole per il discernimento degli spiriti (ES 313-336). [9] Nell’anno che seguì la conversione, a Manresa, la determinazione di Ignazio di purificare se stesso per poter essere considerato meritevole di servire Cristo fu seguita da esperienze mistiche e visioni straordinarie. «La realtà gli si fece trasparente, permettendogli di vedere che Dio, al lavoro nel profondo di ogni cosa, lo invitava ad “aiutare le anime”. Questa nuova visione della realtà condusse Ignazio a cercare e trovare Dio in tutte le cose». [10] In quel periodo, le sue meditazioni sulla vita di Gesù traevano spunto da L’imitazione di Cristo, un libro a cui Ignazio rimase devoto tutta la vita e che consiglia come lettura agli esercitanti nella Seconda settimana degli Esercizi. [11] Jerònimo Nadal, uno dei primi Compagni e uno dei primi commentatori degli Esercizi, descriverà in questo modo il passaggio di Ignazio dallo stadio purificativo allo stadio illuminativo:

Dopo che ebbe esercitato se stesso sui punti della Prima settimana per un po’ di tempo, il Signore lo fece progredire moltissimo, e così egli iniziò a meditare sulla vita di Gesù nostro Signore, a ricavare grande consolazione da essa e a desiderare di imitarla. In quello stesso periodo nacque in lui il desiderio di aiutare il suo prossimo. [12]

     Oltre a descrivere l’esperienza di Ignazio, Nadal offre qui una sintesi della dinamica e del fine del percorso degli Esercizi Spirituali. L’osservazione e la riflessione sulle emozioni, i sentimenti e le intuizioni vissuti contemplando la vita, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo e il dialogo interiore con Gesù che nasce dalla preghiera sui vangeli sono il luogo sacramentale in cui matura la scelta di seguire Gesù.

 

Le caratteristiche del metodo della contemplazione immaginativa

      Nella pratica, in che cosa consiste e come si struttura la contemplazione immaginativa, che di quel percorso è l’unità di misura? La caratteristica fondamentale che la distingue da altri tipi di preghiera consiste nell’entrare con l’immaginazione all’interno del testo biblico. L’immaginazione facilita una conoscenza di Gesù molto diretta, profonda e personale. In parallelo, immergerci con l’immaginazione nel racconto biblico, prendere le distanze dal nostro tempo per entrare nel tempo di Gesù, consente a noi di osservare la nostra realtà da un punto di vista che ci trascende e a Gesù di entrare più facilmente nel nostro tempo, quando saremo tornati in esso. Infine, entrare con l’immaginazione nel brano biblico, fare un’esperienza profonda della vita di Gesù narrata nei vangeli, dà vita a una serie di metafore, a una sorta di lessico familiare che trasferendosi continuamente dal suo tempo al nostro stabilisce tra Gesù e noi una comunicazione sempre più chiara e fluida, all’interno della preghiera e nella vita di tutti i giorni.
Possiamo paragonare la contemplazione immaginativa a una danza composta da vari movimenti. Oppure  allo stile libero, nel nuoto. I movimenti dei bambini che non hanno ancora imparato a nuotare sono scomposti, eccessivi. Ci vorrà del tempo prima che possano imparare i movimenti dello stile libero: come sincronizzare il battito dei piedi alle bracciate e al respiro, capire quando tenere la testa sotto il pelo dell’acqua e quando e di quanto ruotarla per prendere il respiro, ogni quante bracciate respirare, come nuotare in linea retta anche senza riferimenti sul fondo. A chi non sa nuotare, a chi ancora non sa che l’acqua, soprattutto l’acqua del mare, sostiene il corpo e dunque che per nuotare non vanno fatti più movimenti di quelli necessari per andare veloci, tutto questo sembra complicatissimo. Dopo che ritmo e sequenza di movimenti sono stati imparati, diventano naturali.
Anche la contemplazione immaginativa richiede di sincronizzare una serie di movimenti. Si sceglie un brano su cui pregare. Ci si mette alla presenza di Dio. Si precisa l’intenzione del nostro essere lì. Si rivolge a Dio una breve preghiera che affida a Dio la contemplazione che seguirà. Si legge una prima volta il brano biblico e, individuatone il significato, si formula una richiesta di grazia che gli corrisponda. Si rilegge il brano diverse volte. Ci si immerge con l’immaginazione nella scena fisica del racconto. Si identifica il personaggio con il quale viene più istintivo immedesimarsi. Si partecipa al racconto mettendo se stessi nei panni di quel personaggio. Quando infine il racconto e le azioni narrate non producono nuovi stimoli, quando cessano di essere vive agli occhi dell’immaginazione, si torna al presente per esaminare insieme a Gesù l’esperienza appena vissuta. Si sigilla il tempo di preghiera con un Padre nostro. Si cambia posizione e si trascrive l’esperienza di preghiera.
La scheda che segue [13] descrive sinteticamente i vari passaggi della contemplazione immaginativa.

….

 

Note

[1] «Beati i vostri occhi, perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate ma non lo ascoltarono!» (Mt 13, 16-17).

[2] Carlo Maria Martini, “La Dimensione contemplativa della vita”, Centro Ambrosiano, Milano 20135. Prima Lettera pastorale alla diocesi di Milano, 1980.

[3] L’edizione cui farò riferimento è: Esercizi Spirituali, a cura di Gaetano Piccolo, Milano, Garzanti 2016. I rimandi e le citazioni del testo ignaziano saranno indicati con la sigla ES, seguita dal numero di paragrafo.

[4] Vedi Appendice, Scheda 6: «Che cosa si intende per “Esercizi Spirituali ignaziani” e i diversi modi di “fare gli Esercizi”».

[5] Cf John W. O’ Malley, S.J., The First Jesuits, Cambridge, MA:  Harvard University Press 1993, p. 25.

[6] Ignazio di Loyola, Il racconto del pellegrino. Autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, a cura di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 2015.

[7] Lettera a Emmanuele Miona, in Gli scritti di Ignazio di Loyola, Roma, AdP 2007, p. 945.

[8] Ignazio di Loyola, Il racconto del pellegrino, cit., capitolo 8.

[9] ES 313-336.

[10] Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù, Congregazione generale 35a, Decreti e documenti, Decreto 2, n. 5, p. 61, . in http://www.gesuiti.it/img/second/pubblicazioni/CG35-2008.pdf. (Ultimo accesso 23 febbraio 2018)

[11] Il percorso degli Esercizi Spirituali è suddiviso in quattro Settimane, corrispondenti a quelle che la tradizione cristiana definisce le “tre vie” o stati della crescita spirituale: purgativa (Prima settimana), illuminativa (Seconda settimana) e unitiva (Terza e Quarta settimana).

[12] Citato in Gilles Cusson, Biblical Theology and the Spiritual Exercises, Institute of Jesuit Sources, Saint Louis (Missouri), 1994, p. 27. Traduzione mia.

[13] ©Loyola House, Guelph, Ontario Canada. Traduzione e adattamento miei.

 

pagg. 7 – 23.

 

 

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