Il villaggio di Zaccaria e Elisabetta: una decina di agglomerati di case affacciate su un cortile interno in terra battuta. Case di un piano, umili ma decorose, intonacate ogni anno, con il tetto leggermente inclinato per raccogliere l’acqua piovana.
Non ha piovuto molto, quest’anno. La campagna, se si può definire campagna questo deserto, è arsa, nonostante sia ancora primavera. I greggi al pascolo ne soffriranno, le famiglie ne soffriranno, ma le tasse sono sempre più alte. Per Roma non fa nessuna differenza. Che noi si viva o si muoia, a Roma non fa alcuna differenza.
È l’ora decima, tra poco sarà tramonto. Un nuovo giorno.
Il ritmo di lavoro nelle botteghe degli artigiani inizia a rallentare. I giovani raccolgono gli attrezzi. Le giovani spingono gli animali domestici al riparo. Le donne ripiegano i tessuti e fissano i fili sui telai, stendono gli ultimi panni, cominciano a preparare il cibo. Anche i bambini più grandi, ora, possono studiare, pregare e persino giocare.
Immagino di essere un ragazzino, Samuele, di circa undici anni. Sono stato adottato da Elisabetta e Zaccaria da piccolissimo. Mio padre, si dice, era un discendente di Aronne, come Elisabetta, e così per Zaccaria, sacerdote al Tempio, sono sia un figlio sia un discepolo.
Forse un mese o due mesi fa, sebbene dopo quel misterioso incidente non possa più parlare, Zaccaria mi ha comunicato, spiegandosi a gesti, che Elisabetta è finalmente incinta. Indicava il cielo, un dono di Dio, sia benedetto il suo nome, sangue del suo sangue. Per me, è in arrivo una sorella o un fratello? E se sarà maschio, ho forse paura che prenda il mio posto? Sarò geloso? Nel regno di Dio, ripete sempre Zaccaria, c’è posto per tutti. Essere al servizio di Dio non viene negato a nessuno. Posso fidarmi. I puri di cuore vedranno Dio. Re Davide e Zaccaria non mentono di certo. Recitano i salmi: “Giusto è il Signore, la giustizia ama / gli uomini retti contempleranno il suo volto” (Sal 11,7). “Io nella giustizia contemplerò il tuo volto, / mi sazierò al risveglio della tua presenza” (Sal 17,15). E ancora, “Questa è la generazione di quanti lo ricercano, / che cercano il tuo volto, o Dio di Giacobbe” (Sal 24,6). Posso fidarmi.
In verità non ho mai visto Dio, sia benedetto il suo nome, ma quante cose vedo e sento che i miei compagni sembrano non vedere né sentire…
Vedo le stelle danzare.
Vedo corone di luce intorno alla testa delle persone giuste e delle persone buone.
Sento il canto di lode a Dio, un canto ininterrotto, cantato da alberi e uccelli.
Sento il dolore ‒ questo mi fa male, sì ‒ che come un’onda scura si abbatte sugli infami e anche sui giusti. Perché?
Sento le grida degli affamati e dei perseguitati anche quando sono troppo stremati per gridare.
E quante grida, quanto dolore, quanta fame, quanti soprusi, quanta ingiustizia, quante croci sotto il cielo di Israele, sotto il cielo di Gerusalemme, occupata dai Romani.
Sì, vedo e sento molte cose che gli altri sembrano non vedere e non sentire.
Dicono che questo sia un dono. Un dono di Dio. A volte, mi perdoni Dio, sia benedetto il suo nome, preferirei non avere questo dono.
Ma oggi…
L’arrivo di Maria era annunciato da qualche giorno e in casa tutti e tutte si sono dati un gran daffare per assicurarle la migliore delle ospitalità. Alcune donne del villaggio, quando è giunta la notizia che la carovana con cui Maria viaggiava stava per arrivare in paese, le sono andate incontro portando acqua fresca e vestiti puliti. Elisabetta, invece, ha preferito aspettare Maria qui. Forse per non affaticare il bambino che ha nel grembo?
Ora Maria e Elisabetta, al centro del cortile, sono immobili, strette in un abbraccio.
Improvvisamente scende un grande silenzio. Alcune donne, in piedi davanti alla porta delle loro case, le osservano da lontano. Nelle botteghe e nelle stalle ogni attività è sospesa.
Tace il martello di Gionata, posato sull’incudine.
Tace lo scalpello di Anania.
Tace la preghiera di rabbi Lazzaro bar Simone.
Tacciono Susanna, Berenice e Marta, davanti ai loro telai.
Tacciono Gioacchino, Ruben, Anna, Giuditta, Giuseppe e tutti i bambini.
Tacciono gli animali, grandi e piccoli.
Tacciono persino gli uccelli.
Tace il vento.
E tace, ma questo si sa, anche Zaccaria, il mio maestro.
Ma non c’è solo silenzio, anche la luce, anche la luce è diversa. Irradiandosi in cerchi sempre più ampi dalle due donne abbracciate in un unico corpo, va ad appoggiarsi sui muri delle case e penetra negli angoli più bui del cortile. Poi, come mossa da una invisibile brezza, forma nell’aria spirali di tutti i colori, disegna arcobaleni di polvere di cristallo.
Accucciato accanto alla porta di casa, stringo forte le palpebre una contro l’altra, una, due, tre volte. Sto forse sognando? Quando le riapro, la luce mi sorprende con nuove forme e nuovi colori.
Elisabetta allenta dolcemente l’abbraccio, rivolge a Maria un saluto di benedizione e, dopo essersi posata una mano sulla pancia già rotonda, sfiora con due dita la pancia della cugina. Maria sorride commossa. È raggiante. Poi, tenendo gli occhi scuri fissi negli occhi scuri di Elisabetta, risponde all’intimità di quel gesto intonando un canto. La sua voce diventa via via più alta e sicura. Raggiunge tutti noi. La gioia dell’attesa di Maria, ora, è anche nostra…
“L’anima mia magnifica il Signore
il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.
Poiché ha guardato l’umiltà della sua serva
tutte le generazioni ormai mi chiameranno «Beata».
Il Potente ha fatto in me cose grandi
sì, il suo nome è santo.
Il suo amore di generazione in generazione
ricopre coloro che lo temono.
Interviene con la forza del suo braccio
disperde i superbi nei pensieri del loro cuore.
Abbatte i potenti dai troni
innalza gli umili.
Ricolma di beni gli affamati
rimanda i ricchi a mani vuote.
Sostiene Israele suo servo
ricordandosi del suo amore.
Come aveva promesso ai nostri padri
ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.”
(Traduzione del Magnificat a cura della Comunità monastica di Bose)