Guia Sambonet – “Incontro di libertà in clausura”, Jesus, agosto 2020

 

In una mail, qualche mese fa suor Lorenza mi invitava a guidare una settimana di esercizi spirituali nella comunità di sorelle Clarisse in cui svolge il servizio di Madre, a Montagnana (Padova). «Abbiamo pensato di affidare questo compito a una donna», scriveva, «e saremmo onorate se accettasse». Mi è sembrato da subito un incontro annunciato, che si basava sulla piena fducia. Sono bastate un paio di telefonate per defnire alcuni aspetti “organizzativi”: non sarebbe stato necessario per le sorelle mantenere l’appuntamento quotidiano con la Liturgia delle Ore, a parte Lodi e Vespri, e naturalmente la Messa; la giornata di ciascuna sarebbe stata interamente dedicata alla preghiera secondo il metodo ignaziano, che avrei spiegato, e a un colloquio individuale quotidiano. Null’altro. «Non ho l’automobile», dissi. «A Montagnana si arriva anche con il treno. La verremo a prendere», mi rassicurò suor Lorenza.
     Sul binario della piccola stazione mi aspetta suor Myriam. «Il monastero è vicinissimo, a poca distanza dalle mura». La cinta muraria medievale, vanto di questa cittadina di 9 mila abitanti, si erge fiera e mai espugnata lungo un perimetro di due chilometri. Oltre la porta a sud, un secondo muro cinge il monastero di San Francesco.
     L’auto supera il cancello e il giardino, fermandosi davanti all’ingresso di una costruzione a due piani, dove ci aspetta suor Lorenza. Ci abbracciamo. «Ci diamo del tu, vero? Vieni, ti faccio vedere la tua stanza». La foresteria è composta da due camere da letto, un bagno e una piccola sala da pranzo. Sull’altro lato del corridoio c’è la porta della cappella, collegata alla biblioteca, e un’altra porta con la scritta «Clausura». Sul tavolo della sala da pranzo un vaso con un’orchidea bianca. Sopra il passavivande, un’icona della Madonna della Passione. «Suggerirei di fare qui i colloqui», dice suor Lorenza. «L’incontro con la comunità, dopo cena, sarà in biblioteca. Come vuoi che sistemi le sedie?». «In cerchio, naturalmente», rispondo. Si cena alle 19, dopo i Vespri. Tranne una monaca che è assente per accudire la sorella malata, sono presenti quattordici religiose. La sequenza di colloqui distribuiti nell’arco della giornata non mi lascerà il tempo né il desiderio di uscire, penso quando rimango sola. Del resto sono qui per questo. Dalla finestra della mia camera scorgo le guglie del duomo, il cuore di un organismo urbano e sociale che vedrò, forse, solo di sfuggita.
     La connessione Wi-Fi che non so far funzionare sigla una grata lontananza dai rumori concitati del mondo. Mentre al di là delle mura la pandemia di Coronavirus travolge l’Italia, sto per iniziare un viaggio di esplorazione in ciò che significa vivere, al femminile, la sequela di Gesù nella forma più radicale possibile. In particolare, mi viene offerta l’occasione di superare il malinteso parallelismo tra i voti monastici e alcune realtà recentemente divenute tanto familiari: lockdown (clausura); regole di distanziamento fisico (ubbidienza); riduzione drastica delle relazioni interpersonali e dei consumi (castità); licenziamenti, cassa integrazione, incertezza per la sopravvivenza (povertà). E sullo sfondo, o in primo piano, la morte. Una morte, per la maggioranza di noi che abitiamo nel mondo, non accompagnata dalla speranza nella risurrezione.
     Il segreto di una scelta di vita così radicale, il signifcato dei voti, mi diverrà chiaro grazie ai colloqui dei giorni seguenti. Non ha nulla a che vedere con tutto questo: è un amore a Dio e un amore incondizionato ricevuto da Dio, immenso e allo stesso tempo umile come il più umile dei gesti quotidiani. Il sorriso e lo sguardo di queste donne, illuminati dal mistero di quell’amore, sono messaggeri di una speranza in grado di trasformare qualsiasi realtà. «Comprendiamo bene le fatiche delle famiglie, dei giovani, degli anziani», mi dirà poi una suora. «Le proviamo anche noi, sono anche le nostre. Perché non sempre vivere “dentro” è semplice: il tipo di vita che abbiamo abbracciato nasce da una scelta che va rinnovata ogni giorno! La stessa libertà ci viene data anche nei confronti del Coronavirus. È la libertà di decidere come abitare questo tempo e questo spazio non voluti, imprevisti: subendoli oppure accogliendoli».
     Quando entro in biblioteca le sorelle sono già sedute in cerchio. Mi presento e le invito a dire il proprio nome e da quanti anni fanno parte della comunità. Sara, la più giovane, è una novizia, l’unica a non portare il velo. Sembrano contente di iniziare questo percorso, e sollevate alla prospettiva di poter dedicare la maggior parte della giornata alla preghiera personale. Qualcuna di loro ha già fatto esperienza degli esercizi, mai però nella modalità individuale che propongo.
     Il duomo, oltre il giardino, è illuminato a festa. In questo periodo la Messa viene celebrata nella cappella da padre Battista Magoni, un religioso pavoniano legato alla comunità. Le sorelle, a mio sentire, hanno voci bellissime, fresche, leggere, affiatate. Le prime a venire in colloquio sono due sorelle di sangue, siciliane. Suor Beatrice e suor Agnese. Entrambe, all’unisono anche se a distanza di mezz’ora l’una dall’altra, raccontano con parole scandite da un accento antico, incontaminato, di essere state chiamate a Montagnana nel 1963 da monsignor Agostino Bellato per dar vita a una comunità claustrale dedicata all’Adorazione perpetua. «Presto si sono unite a noi altre quattro sorelle. L’antico monastero era tutto da sistemare. Stavamo con gli ombrelli aperti anche in casa, perché il tetto era sfondato. Eravamo poverissime».
     Suor Teresa, di origine pugliese, è una maestra nell’arte del tombolo. «La nostra comunità è interamente affidata alla provvidenza. Qui a Montagnana ci vogliono tutti bene. Non ci manca nulla», mi fa notare.
     La pandemia e la quarantena non hanno certo isolato il monastero dalla città che lo circonda, anzi. «Il dolore, il grido di morte, di paura, di solitudine ci ha rese famiglia con tutte le famiglie che per due lunghi mesi sono state “rinchiuse”, pietrifcate nelle loro case», racconta suor Luciana. «E insieme a loro abbiamo condiviso la bellezza delle piccole cose, ma anche la sorpresa di scoprire in noi stesse fragilità insospettate, sentimenti nascosti. Che dire? Coraggio, non siamo soli, Cristo ci sta tenendo per mano».
     Ad eccezione delle più anziane, tutte le sorelle hanno completato gli studi e hanno abbandonato una professione ben avviata per entrare in monastero. Conoscono bene il “mondo”. Sentirle raccontare degli afetti che le legano a persone vicine e lontane non è per me solo un modo per facilitare la conoscenza reciproca. È occasione di grande stupore. Ognuna di loro ha una storia particolarissima. Alcune sono nate in famiglie numerose e molto devote. Altre provengono da ambienti familiari difficili, che hanno lasciato ferite profonde.
     La vocazione alla vita consacrata, come ogni vocazione d’altronde, risponde a leggi imperscrutabili. Il filo degli eventi che la guidano si può vedere solo a posteriori. «La mia è la storia di un viaggio, anzi di una ragazza appassionata di viaggi che a un certo punto ha perso la strada, la direzione», racconta Sara. «Ma come scrive Tolkien, “non tutti quelli che vagano sono perduti”! E in questo mio “vagare” sono stata cercata e incontrata. Allora la storia di un viaggio è diventata la storia di un incontro. Inaspettato, imprevisto, non atteso. Incontro con la misericordia di un Dio pazzo di amore per me».
     Nelle occasioni in cui posso osservare la relazione tra loro, nel coro, a Messa, traspare una sottile allegria e un profondo rispetto reciproco. Il clima intorno all’altare, di fronte alla colorata icona del Crocifsso di San Damiano, è tutt’altro che penitenziale. I movimenti delle più anziane vengono protetti con attenzioni premurosissime. I gesti che mi vengono dedicati, l’abbondanza e la varietà del cibo, la puntualità e la gioiosa attesa con cui le sorelle arrivano al colloquio, i piccoli regali che portano, il thermos con il café sempre caldo, le caramelle che giorno dopo giorno vanno a riempire il cestino di vimini sulla credenza, i mazzolini di fiori raccolti in giardino, «per la tua camera», i coloratissimi quadri dipinti la sera prima, le poesie, raccontano di un modo di intendere l’ospitalità molto vicino a quello che associo alla capacità di vedere nell’altro, in qualsiasi altro, il volto di Dio.
     Forse più strabiliante ancora è la totale assenza di retorica con cui ogni sorella parla del proprio amore a Dio. In parallelo, le accomuna la naturalezza con cui sanno trovare il punto di equilibrio che consente di non far pesare alle altre le proprie difcoltà, così distante dall’ipocrisia che governa la maggior parte delle relazioni nel mondo.
     La settimana di esercizi dati a persone molto motivate e mature, di norma, segue le stesse tappe del Mese ignaziano, dall’Incarnazione alla Passione all’apparizione del Risorto ai discepoli e alle discepole. Come nel Mese, i frutti si riconoscono dall’aver ricevuto o meno la grazia chiesta all’inizio del ritiro. Le sorelle mi dicono di aver ricevuto e, soprattutto, sono consapevoli e grate di aver ricevuto la grazia che avevano chiesto. L’innesto tra la spiritualità di san Francesco e santa Chiara e la spiritualità e il metodo degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio ha avuto un felice esito.
     Arriva il giorno della partenza. Dopo la Messa e l’incontro di condivisione sull’esperienza del ritiro, suor Lorenza mi invita a pranzare nel refettorio insieme alla comunità. Ora posso togliermi l’abito, seppur leggero, del direttore spirituale ed essere semplicemente una sorella tra sorelle. Posso invitarle a entrare − almeno un po’ − nel mondo che mi aspetta appena sarò uscita dal cancello del loro giardino. Un mondo terrorizzato.
     Ripenso alle parole di suor Lorenza: «La vita accade, sta a noi viverla nella costrizione o nella scelta. La clausura può insegnarci ad ascoltare gli eventi, per imparare a scegliere come vogliamo starci. Questa libertà, poi, consente l’apertura alla creatività, a nuove strategie per vivere lo stesso valore, la stessa realtà, in altre forme». Sono arrivata aspettandomi una ruota di clausura. Parto portando nel cuore la scoperta di una comunità ospitale, amorevole e attenta. Il mondo da cui queste donne vivono separate, in verità, è molto meno lontano di quanto possa sembrare, perché lo portano dentro di loro. «Alla comunità di Montagnana e non solo, offriamo diversi servizi», mi spiegava ancora suor Lorenza. «Accompagnamento spirituale, in parlatorio; testimonianza e guida di ritiri a gruppi grandi e piccoli; e soprattutto la nostra vita di preghiera, ordinaria con la Liturgia delle Ore e l’Eucaristia, e periodica con veglie di preghiera a tema». Le preghiere che giorno dopo giorno, anno dopo anno e perfino decennio dopo decennio, si innalzano a Dio tornano sulla terra come una pioggia invisibile carica di benedizioni.

Il gruppo delle clarisse di Montagnana con Guia Sambonet, in ultima fila senza velo. 

 

 

 

 

 

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Immagine in evidenza: Giotto, Santa Chiara, Cappella Bardi, Basilica di Santa Croce, Firenze, 1325-1328. Particolare.

 

 

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